Parole Incatenate: quando il testo è tutto ciò che hai

La mia linea è solitamente questa: scrivi di ciò che ti piace, sorvola su ciò di cui parleresti male. Con Parole Incatenate mi trovo davanti ad un paradosso: perciò la prenderò alla lontana. Mi chiedo innanzitutto quale debba essere il confine tra teatro e televisione, o tra contaminazione sperimentale e sfacciataggine. Insomma, la bacchettona che è in me dice ALT! Per carità, ognuno stia al suo posto! Ma certi casi mi hanno fatto ricredere, parlando alla mia me tollerante. Ecco, per quanto riguarda questo spettacolo, la mia me tollerante è stata duramente messa alla prova. Meglio precisare: non solo lo spettacolo, ma tutto ciò che ho sentito e letto in proposito mi hanno veramente indotto a pensare. Qual è il ruolo della stampa? del "giornalismo" culturale? Forse meramente un ruolo propagandistico e pubblicitario, puro marketing che fonda le sue basi nell'ignoranza e nelle parole rimbalzate così a lungo da essere ormai totalmente vuote. Perchè il numero ed il tipo di avverbi e aggettivi che ho trovato in giro per la rete alla voce "Parole Incatenate" lasciano veramente allibiti. "Magistrale interpretazione", "metodo Stanislavskji", "vibrante interpretazione", ma di chi?Ma passiamo oltre. Dicevo, il confine tra teatro e televisione... ahi, difficile parlarne, e in fondo chi sono io per giudicare? Sono una che è andata a vedere uno spettacolo in un teatro e si è ritrovata davanti due persone che sarebbero state molto più a loro agio in un set televisivo/cinematografico, come dimostrano le interpretazioni ben più credibili dei brevi filmati proiettati. Per cui la mia breve riflessione è: ognuno resti fedele al proprio luogo di appartenenza (sulle capacità sul grande e piccolo schermo non mi esprimo, non è il mio ambito). Dopo queste inutili riflessioni passo a parlare del motivo per il quale ho deciso di scrivere su questo spettacolo (quello che ho detto finora sembrerebbe contraddire la mia linea di cui sopra): il testo. Parole incatenate, o meglio, Paraules Encadenades è una pièce veramente ben scritta. "Sorpresa, Sadismo, Movimento", così lo riassume la critica spagnola, che si diverte a rispettare le regole del gioco. Ha il mordente giusto per sorprendere di continuo e tenere lo spettatore sul filo del rasoio, in un continuo capovolgimento di ruoli e situazioni ed un costante ribaltamento di bene e male. Perchè il catalano Galceran è bravo a far emergere l'unica verità: che non ci sono verità. Non ci sono persone buone e persone cattive, ma tutti abbiamo lati oscuri e limpidi, macabri e innocenti. Tutto dipende dalla luce che illumina i fatti, ed il continuo cambiamento del punto di vista ci fa vacillare, scardina la nostra percezione dei personaggi, ci costringe ad abbandonare i nostri "punti fermi", e soprattutto a non giudicare. Il colpo di scena finale è un richiamo alla cruda realtà, e ci dice che in fondo è inutile affannarsi a capire chi è nel giusto e chi nel torto, perchè il destino si compie inevitabilmente. Insomma, il catalano sa quello che fa. E qui da noi è arrivato solo ora (che strani che siamo: in alcuni casi troppo convinti di noi stessi e del nostro patrimonio culturale, in altri - i peggiori - pronti ad adorare il peggio che l'estero possa offrirci), portato ahimè (mi duole dirlo) in scena da Melchionna&co. Lodevole l'operazione esterofila, molto meno quella registica. Non è per esser cattivi, ma il lavoro registico sembra veramente deboluccio. Forse però non è del tutto colpa del Melchionna. Perchè la Pandolfi recita, recita per un'ora e mezza, e neanche per un minuto la crediamo terrorizzata, spaventata, in punto di morte. D'altronde l'ha detto lei stessa in un'intervista (che ha concesso a qualcuno prima che i suoi agenti le blindassero i diritti d'immagine): "Io non sono un'attrice, io faccio l'attrice". Lei non era spaventata, faceva la spaventata. Ma basta, il mio lato tollerante riemerge e si sente in colpa. No, non voglio sparare a zero su Claudia, dico solo che se hai fatto per vent'anni la tv il teatro non sai cosa sia. E di certo il testo di Galceran non era il più indicato per questo tentativo. Però, però.. il pubblico ha apprezzato! Ed io resterò ancora a lungo a logorarmi nella ricerca del misterioso dettaglio in cui insigni professori abbiano intravisto l'intensa applicazione del metodo Stanislavkji da parte della quasimissitalia (forse i suoi lividi? che chi sa davvero cadere non si fa, ndr).La produzione Artù (capeggiata da un signore che ha militato per anni al Bagaglino, tanto per intenderci) ha scelto un altro tipo di attore da posizionare al fianco della Pandolfi in questo duello: Francesco Montanari, il Libanese, ancora una volta per intenderci. Questa star della tv in realtà ha una storia attoriale del tutto diversa da quella della Pandolfi: lui è nato in teatro, uscendo dall'Accademia delle Accademie d'arte drammatica Silvio D'Amico. E la differenza sul palcoscenico è palpabile, benché si intuisca che l'interpretazione del buon Montanari si limita ad una lettura superficiale del personaggio. Ho detto il buon Montanari perchè è davvero un buono: con estrema innocenza, che non è mancata neanche alla Pandolfi, ha ammesso di non sapere granché sull'autore, il che dimostra che il lavoro sul testo non sia stato dei più approfonditi. Ma in questo la recitazione televisivo/cinematografica ha la sua responsabilità: l'abitudine così ben denunciata da Boris di dire e fare cose senza conoscerne il significato. Concludo con una nota positiva, lo spettacolo merita per il suo testo davvero ben strutturato e avvincente, capace, come auspicava lo stesso Montanari, di regalare al pubblico una serata di suspance, paura, divertimento ma anche riflessione. Insomma, un teatro che fa tornare la voglia di andare a teatro!