Perugia cerca Picasso con Albertazzi
Immaginereste di intraprendere un viaggio guidati da un novantenne? E’ quello che Giorgio Albertazzi ha proposto al pubblico del Morlacchi con il suo spettacolo “Cercando Picasso”: un percorso onirico lungo la scia dei grandi maestri delle avanguardie artistiche del 900. Al timone lui, Albertazzi, che supportato da una “troupe” di ballerine (quelle della prestigiosa compagnia Martha Graham Dance Company di New York) ci guida alla scoperta di un mondo di cui Picasso, nell’inedita veste di oratore, si fa portavoce.
Se inizialmente l’ondata di parole sembrerebbe mera ostentazione di intellettualismo sterile d’emozione – vedo un Attore, di quelli veri, ma stremato, che scimmiotta un ragazzino, quasi tenero in mezzo alla bellezza e alla gioventù delle ballerine, un viveur allo stremo – qualcosa comincia a prendere forma non appena compare il Demone, il Duende di García Lorca: l’anima gitana irrompe su una scena nuda, evocata interviene con il suo calore a riempire di passione il teatro.
Qui ha inizio il vero spettacolo. Un fiume di versi che toccano i sensi prima che la mente. La vita è srotolata sotto i nostri occhi nell’armonia delle sue imperfezioni; la donna è sviscerata nella sua bellezza, esaminata con i paragoni più impensabili ed incredibilmente evocativi, bellezza terrena e celestiale insieme, ha un che di nerudiano e di caraibico. La parola si fa pennello e dipinge un’idea: ecco che si intravede Picasso, appunto non in quanto uomo, ma in quanto spirito.
Proiezioni oniriche danzanti creano i personaggi di un banchetto, tutte le avanguardie artistiche, letterarie, filosofiche si incontrano attorno ad una tavola bianca ed ognuno recita la sua parte e da il suo colore a quella tavolozza candida che è il palcoscenico; ci si diverte sperimentando la parola (citando da Apollinaire a Sartre a Queneau a García Lorca), creando paesaggi e situazioni in un vortice che giunge al limite del verosimile, all’assenza totale di senso.
Ma il teatro non si spiega, si vive. Il teatro è l’esperienza viscerale delle emozioni.
La chiusura dello spettacolo è il testamento spirituale dell’Artista novantenne, di Albertazzi, dell’uomo che “ non è ancora abbastanza giovane”, che sta ancora cercando di “imparare a non recitare più, cioè a non dire più parole d’altri, ma dire parole proprie pur dicendo parole d’altri”: la giovinezza non ha età.