Recensione dell'album Il Giardino del Tempo dei Cheyenne Last Spirit
a cura di Rossella Biagi
Il Giardino del Tempo è un concept album che analizza ed approfondisce la riflessione sul concetto di tempo: una dimensione all'interno della quale ciascuno percepisce – a suo modo - il trascorrere degli eventi. Il tempo di cui parlano i Cheyenne Last Spirit è un senso “interno” e pone limiti, che possono sembrare insuperabili all'uomo. Ma Il Giardino del tempo ci ricorda che questi limiti possono essere superati grazie alla capacità che ciascuno di noi ha di concepire pensieri, elaborare concetti e analizzare la realtà.
Ormai manca pochissimo all'uscita di questo secondo album dei Cheyenne Last Spirit.
Chi sono? Stiamo parlando di un gruppo sardo che si era già fatto notare nel panorama della musica indipendente italiano, ricordiamo - tanto per citarne qualcuno - che erano stati giudicati miglior gruppo rock-blues al Sanremo Music Awards (2012), o che si erano aggiudicati il secondo posto all’Olbia Rock (2011), sempre secondi classificati all'edizione 2011 di Italia Wave e che erano addirittura arrivati tra i finalisti al MEI Supersound (2012).
L'uscita ufficiale del loro nuovo disco, “Il Giardino del Tempo”, è prevista per il 20 dicembre per l’etichetta discografica Areasonica Records e le edizioni di Materiali Musicali.
Il Giardino del Tempo è un concept album in cui sono affrontati temi importanti: le ripercussioni che ha l'evolvere del tempo sull'individuo, la capacità di superare i propri limiti, grazie alla volontà di continuare a credere ai propri sogni.
Il Giardino del Tempo racchiude in sé ben 13 tracce di indie rock composte ed arrangiate dai componenti della band, espressione di un caleidoscopio di influenze: dal blues rock anni '60, alla psichedelia, al pop rock degli anni '90.
Parliamo nello specifico delle tracce. Ad aprire il nostro viaggio all'interno del Giardino del tempo è “L'inizio”, che dopo un'apertura sognante, invita all'ascolto di tracce di puro rock alternativo. Così in “Le nostre paure” l'ascoltatore inizia ad attraversare un giardino indie rock più melodico e meno rumoroso. Il testo lancia un appello a superare le paure che ci trasciniamo dentro e a riappropriarsi di un futuro che sempre troppo spesso è etero-diretto e in cui “gli altri” hanno l'ultima parola.
Il suono del rullante della batteria ci introduce alla terza traccia, “La canzone del poeta”, un brano rock armonioso nel suo complesso. Più melodica la traccia successiva: “Il giardino di Bianca”, in cui la voce di Francesco Addari sembra quasi condurre per mano l'ascoltatore in un mondo fantastico, surreale, quasi fosse il Paese delle meraviglie descritto da Lewis Carrol.
Interessante “La canzone del '68”, con le tastiere che si intrecciano alla chitarra producendo un'armonia sognante ed evocativa. In direzione diversa va “Il viandante”, in cui alla dolcezza della voce si contrappongono la forza della chitarra e della batteria.
A questo punto ci imbattiamo in “Maestrale”, che disegna nella mente di chi presta ascolto un atmosfera rarefatta e ancora una volta sognante che si estende verso l'infinito. In cui il ride della batteria e la chitarra sottolineano ed incorniciano il testo di questa traccia, molto intimo.
Il nostro viaggio attraverso “Il Giardino del Tempo” continua con “Tutto normale”, traccia dal sapore amaro, con una chitarra a tratti graffiante, e con “Le Lucciole” - traccia curiosa, in cui le tastiere hanno una parte da protagonista, giocando insieme agli altri strumenti. Simpatico brano pop-rock, che mette di buon umore.
L'ascolto prosegue con la ballad “E fa male” e la grintosa “La mia energia”, una traccia dedicata a tematiche di sostenibilità energetica a basso impatto ambientale e ad un uso più razionale delle risorse, cercando di eliminare inutili sprechi.
Particolare attenzione merita “Nero il lavoro, bianca la morte”, una forte denuncia allo sfruttamento del lavoro e alla connivenza che spesso società e istituzioni hanno rispetto alla diffusione di questo fenomeno. Si tratta inoltre di un bell'inno contro il fenomeno delle morti bianche, denunciando lo sfruttamento- dettato spesso dalla disperazione- dei lavoratori che, pur di portare il pane a casa, accettano di svolgere mansioni lavorative anche in assenza di tutele e sicurezza sul posto di lavoro. I Cheyenne Last Spirit lo gridano con tutta la loro energia.
E a chiudere “Il Giardino del tempo” c'è il brano “La fine”, romantica rock ballad che descrive la condizione umana sospesa come foglie su un albero “ad un passo dall'eterno e a un soffio dalla fine”.
Biografia:
Per quanto riguarda la biografia di questo gruppo di sognatori rimandiamo alla loro pagina FaceBook ( https://www.facebook.com/CheyenneLastSpirit). Se però non avete voglia di cliccare su questo link ve ne pubblichiamo un breve riassunto, tratto direttamente dalle info sulla loro pagina: la band sarda Cheyenne Last Spirit si forma nel 2006 ad Iglesias. La formazione originaria comprendeva Francesco Addari (voce, chitarra e tastiere), Matteo Floris (basso e voce), Francesco Perra (chitarre e voce) e Alessio Cuccu (batteria). In questa formula hanno pubblicato il primo album “Maestrale” e hanno suonato tra il 2007 ed il 2012 in moltissimi palchi importanti in tutta la Sardegna e Italia. Nel luglio 2012 dopo 5 anni il batterista Alessio Cuccu decide di abbandonare il gruppo ed è sostituito da Fabio Cuccu. Nel settembre del 2013 hanno firmato un contratto discografico con Areasonica Records ( casa discografica per cui uscirà “Il Giardino del Tempo”).
Chi sono?
Francesco Addari: Voce, chitarra e tastiera
Francesco Perra: Chitarra e voce
Matteo Floris: Basso e voce
Fabio Cuccu: Batteria
Contatti:
https://www.facebook.com/CheyenneLastSpirit
http://www.myspace.com/cheyennelastspirit
http://www.youtube.com/cheyennelastspirit