Recensione Dopo di Noi il Diluvio - Vol.1 di Eva Braun
A cura di Francesco Miriello
Gli “Eva Braun” sono il classico gruppo in cui è il nome l’elemento che suscita maggiore curiosità: perché nel 2016 bisogna ancora riferirsi ai nazisti? Non ci si deve fermare alle apparenze: Eva Braun nasce come amore incondizionato, da contrapporsi al male assoluto di Hitler e dei suoi seguaci. Amore verso la musica ai tempi della “guerra fredda musicale”, come loro la definiscono.
Paolo Annesi è la voce, Daniele Sganga (basso), Marco Vollaro (batteria) e Alessia Di Rienzo (chitarra) sono invece gli altri elementi della band. Il loro primo album “Dopo di noi il Diluvio – Vol.1” è composto da 8 tracce e uscirà il 5 aprile per la “Exit Records”.
L’album si apre con il fischiettare di “Improptu n.1000”, che in breve si trasforma in un turbillon di suoni violenti, con la voce di Annesi quasi sovrastata dall’energia del pezzo. Se la prima canzone serviva per aprire e per fare esplodere questo “diluvio”, il risultato è disatteso dal resto delle tracce.
Le chitarre sono invase da effetti e distorsioni in abbondanza che, come quando metti troppo sale, finiscono per soffocare irrimediabilmente la composizione. Anche la voce stessa è rielaborata e le distorsioni sono tanto evidenti che la fanno percepire come un qualcosa di artificiale, vuoto, facendo sì che il cantato diventi il punto debole dell’intero album.
I testi sono duri e rabbiosi, scritti da chi non ne può più di questi tempi difficili e incerti, come se in un certo senso fossero rubati dalla Eva Braun in procinto di suicidarsi nel bunker. Un esempio è in “Dopo di Noi”, dove il ritornello dice chiaro e tondo “Chi di speranza vive disperato muore / Devo smetterla di fare l’eroe”.
In questo delirio di chitarre e distorsioni resta poco da salvare: non è esattamente il tipo di debutto che ogni band sogna, ma non si deve bocciare interamente “Dopo di noi il Diluvio”, che rimane comunque un album che lascia spunti di riflessione interessanti.