Sexmachine: quando il teatro si fa inchiesta
Per due giorni(24-25 febbraio 2012)protagonista del Teatro Morlacchi è stata Giuliana Musso con il suo spettacolo dal provocatorio (e anche profetico, se consideriamo che è stato scritto 6 anni fa) titolo: Sexmachine.
La macchina del sesso è quella che muove un’intera nazione , anche se nessuno ha il coraggio di ammetterlo. La performance della Musso è tutt’altro che vigliacca in questo senso.
Benché l’argomento si presti a far ridere con volgarità, la Musso riesce a far ridere, ma non scade mai nello sguaiato. La sua denuncia senza moralismi è una grande prova attoriale, di profonda padronanza della voce e del corpo. Lungi dal voler giudicare, condannare o assolvere, l’attrice presta la voce a vari personaggi (più uomini che donne), lasciando emergere la realtà di un’Italia che ancora oggi è teatro del mercato del sesso, perché, dietro la maschera dei valori tradizionalmente legati al nostro “popolo” – la famiglia, i figli, il matrimonio – si cela un paese di “clienti”. Tutti parlano delle prostitute, apostrofandole con un ricchissimo vocabolario di appellativi; nessuno parla dei clienti. Milioni. La sexmachine su cui la Musso vuole aprirci gli occhi è una realtà diffusissima, che tocca tutti noi molto più da vicino di quanto vorremmo pensare.
In tanti hanno portato a teatro la questione della prostituzione; ma nella maggior parte dei casi si è trattato di rappresentazioni che lasciano lo spettatore libero di rimanere estraneo a ciò che vede, libero di dirsi: “quella prostituta non sono io; quel cliente non sono io”. L’idea di Giuliana Musso invece è coinvolgere fortemente lo spettatore, ponendolo davanti ad uno specchio di situazioni e di discorsi in cui possa riconoscersi perché, come l’attrice-autrice ha detto ai microfoni di Radiophonica, solo così si può avere profonda coscienza di questa realtà occultata dal moralismo di facciata, e imparare a guardare a questo meccanismo con sguardo libero da censure etiche, per comprenderne la portata.
La chitarra di Igi Meggiorin si fa quasi interlocutrice della protagonista, intessendo un fitto dialogo di scanzonata dolcezza, quasi ad attutire l’impatto emotivo che certe parole potrebbero provocare, ma anche incarnando lo spirito dell’italiano che poco si cura dei problemi, che prende tutto un po’ sotto gamba, con quell’atteggiamento lassista del “volemose bene” che tanto ci piace, cui siamo stati abituati senza saperlo da una cultura decennale. Ad ammonirci a sfuggire dall’allettante tentazione del “non sono fatti miei” intervengono la parrucca fucsia e le scarpe col tacco della Musso. Siamo tutti, tutti chiamati a guardare alla realtà con onestà e coerenza, perché troppo facile è sentenziare e condannare, meno facile invece è assumersi le proprie responsabilità.
Sabrina Fasanella