Un cuore di vetro in inverno

a cura di Mattia Passante
 
“Ho appena trovato l’amore, proprio adesso devo partire?”
Sipario chiuso, spunta un uomo vestito con un abito da sposa. E’ Filippo Timi: ideatore, regista e attore protagonista del suo nuovo spettacolo teatrale “Un cuore di vetro ininverno”, in scena al Teatro Morlacchi di Perugia dall’11 al 16 dicembre.
La commedia inizia con un proemio cantato in dialetto perugino, intriso di romanticismo e tristezza. Non ci sarebbe potuta essere atmosfera migliore. Lorappresentazione, infatti, è un omaggio all’amore, al romanticismo e alle paure.
E’ la storia di una cavaliere, di origini umbre, che decide, pur con qualche esitazione,di affrontare il famoso drago, tipico dei romanzi seicenteschi, che lo separa dal sogno di dedicarsi totalmente alla sua amata.
Fin qui potrebbe sembrare un classico romanzo cortese ma basta osservare la scenografia per apprezzarne le incursioni moderne: nuvole di carta pesta, un bar di periferia con luce al neon e tendina a filo, carrelli della spesa ed armature di plastica. La storia viene accompagnata dal susseguirsi del giorno e della notte, in un affascinate gioco di luci di Camilla Piccioni.
Lo spettacolo è una continua allegoria sull’uomo e la conoscenza di se stesso. Un cavaliere errante, che appena scopre l’amore, è costretto ad affrontare il drago, che altro non è che l’insieme delle sue paure: il fallimento, la solitudine e l’amore stesso.
Il cavaliere sembra rappresentare l’idea dell’amore terreno, in continua tensione con le sue possibili deformazioni. Quest’ultime, sono rappresentate dalla corte che lo accompagna nella sua avventura: l’angelo custode (la meravigliosa Marina Rocco, conle sembianze di Marylin Monroe), in sella ad una luna di cartone, simboleggia l’amoreutopico; la prostituta romagnola (rappresentata da Elena Lietti) e la sua sete,impersonifica l’amore carnale; lo scudiero (Michele Capuano), invece, con la sua leggerezza partenopea, rappresenta l’amore ingenuo e spensierato ed infine il menestrello triste (Andrea Soffiantini) che con il suo disincanto e il suo dramma di raccontare la vita degli altri senza poter vivere la propria, completa il quadro lasciando allo spettatore il gusto agro-dolce del suo velo di tristezza.
La rappresentazione è un susseguirsi di tragico e di comico, di sacro e profano. Si passa dalle barzellette che coinvolgono il pubblico ai monologhi (soprattutto quello recitato da Timi nella notte prima della battaglia) che ti tengono piantato forte alla sedia legnosa del teatro, facendoti perdere tra parole dialettali poetiche e concrete.

Insomma, non è uno spettacolo convenzionale ma realizza appieno l’intento dell’autore: interrogarsi sulle nostre paure, trovare il coraggio di risalire i pioli della scala delle insicurezze e affrontare qualsiasi mostro che si presenti in cima.